Sin dalla nascita dell' Islam, la liceità della musica e del canto è stata materia di dibattito. Se ne discuteva la legittimità non solo per quanto riguarda l'artista ma anche riguardo al pubblico. Sia i fautori che i detrattori fondavano la legittimazione della loro posizione sul Corano e sugli hadith, i detti del Profeta.
Lo studioso dell'undicesimo secolo Imam al-Ghazali tratta della danza estatica maschile in un contesto religioso, e definisce quale sia la giusta condotta durante l'estasi e la trance. Essa è definita dalle regole di tempo, luogo e compartecipazione. La regola generale è che: "se il piacere che induce a danzare è lodevole e la danza lo accresce e lo rinforza, allora danzare è degno di lode’’. Sempre secondo al-Ghazali, la musica è permessa a meno che non si tema la tentazione. La voce femminile invece potrebbe sedurre l'ascoltatore. Guardare le interpreti è sempre vietato, ascoltare la voce di cantanti donne nascoste è vietato ugualmente se evoca immagini tentatrici. E paragona poi la liceità dell' ascoltare una cantante nascosta a quella del guardare un giovane ragazzo imberbe.
La dottrina si sofferma anche sull’uso degli strumenti musicali. Suonare il tamburello, per esempio, è lecito se è fatto da donne ad un matrimonio ma è proibito se fatto da uomini in un contesto di omosessualità o di prostituzione.
Chelebi, uno studioso del diciassettesimo secolo, distingue tre categorie di musica: quella che proviene dagli uccelli, dalla voce umana e dagli strumenti. Egli afferma che nell' Islam è permesso ascoltare le melodie prodotte dagli uccelli e quelle prodotte dalla voce umana ma a certe condizioni e regole. Invece non è mai ammissibile ascoltare strumenti a fiato o a percussione.
Secondo l' etnomusicologo Al-Faruqi, la dottrina religiosa istituisce una gerarchia della musica e del canto distinguendoli in forme proibite, sconsigliate, raccomandate ed encomiabili. Al culmine della gerarchia c'è la recitazione del Corano, immediatamente seguita dalla chiamata alla preghiera e dalla cantillazione religiosa. Legittimi sono anche vari generi di canzoni connessi alle celebrazioni familiari, ai canti delle carovane, ai canti di lavoro e alla musica delle bande militari.
Al livello più basso della gerarchia troviamo "musica sensuale che è eseguita in occasione di attività condannate, o che si ritiene un incentivo per talune pratiche proibite, come il consumo di droga e di alcool, atti di lussuria, la prostituzione, ecc."
Questi generi sono chiaramente proibiti, haram. Tuttavia, la maggior parte delle forme di musica e di canto si collocano in posizione intermedia tra queste precise categorie e la loro appartenenza è controversa (Al-Faruqi 1985: 1-13).
Anche il fatto che l'eccitamento maschile sia più fortemente stimolato dalla vista che dall'udito influenza il giudizio sulle varie categorie di interpreti femminili. Allo scopo di capire i giudizi dei fondamentalisti islamici sull'arte dello spettacolo non possiamo solamente fare riferimento all'opinione degli studiosi musulmani dell'undicesimo o del diciassettesimo secolo, ma dovremmo anche esaminare a fondo il giudizio religioso dei leader più recenti.
Secondo Sheikh al-Azhar Shaltut, che scrisse una fatwa (un decreto o giudizio ufficiale) sull'argomento nel 1960, la musica è ammissibile a certe condizioni. Egli argomenta che Dio non è contro il piacere e che l'Islam ricerca la moderazione. Però esso non dovrebbe avere luogo in circostanze immorali o con compagni dissoluti (Al-Faruqi 1985: 25-26). Lo studioso musulmano al-Quaradawi afferma che il canto e la musica in se stessi sono leciti e piacevoli, tuttavia impone a riguardo numerose restrizioni.
Lo studioso dell'undicesimo secolo Imam al-Ghazali tratta della danza estatica maschile in un contesto religioso, e definisce quale sia la giusta condotta durante l'estasi e la trance. Essa è definita dalle regole di tempo, luogo e compartecipazione. La regola generale è che: "se il piacere che induce a danzare è lodevole e la danza lo accresce e lo rinforza, allora danzare è degno di lode’’. Sempre secondo al-Ghazali, la musica è permessa a meno che non si tema la tentazione. La voce femminile invece potrebbe sedurre l'ascoltatore. Guardare le interpreti è sempre vietato, ascoltare la voce di cantanti donne nascoste è vietato ugualmente se evoca immagini tentatrici. E paragona poi la liceità dell' ascoltare una cantante nascosta a quella del guardare un giovane ragazzo imberbe.
La dottrina si sofferma anche sull’uso degli strumenti musicali. Suonare il tamburello, per esempio, è lecito se è fatto da donne ad un matrimonio ma è proibito se fatto da uomini in un contesto di omosessualità o di prostituzione.
Chelebi, uno studioso del diciassettesimo secolo, distingue tre categorie di musica: quella che proviene dagli uccelli, dalla voce umana e dagli strumenti. Egli afferma che nell' Islam è permesso ascoltare le melodie prodotte dagli uccelli e quelle prodotte dalla voce umana ma a certe condizioni e regole. Invece non è mai ammissibile ascoltare strumenti a fiato o a percussione.
Secondo l' etnomusicologo Al-Faruqi, la dottrina religiosa istituisce una gerarchia della musica e del canto distinguendoli in forme proibite, sconsigliate, raccomandate ed encomiabili. Al culmine della gerarchia c'è la recitazione del Corano, immediatamente seguita dalla chiamata alla preghiera e dalla cantillazione religiosa. Legittimi sono anche vari generi di canzoni connessi alle celebrazioni familiari, ai canti delle carovane, ai canti di lavoro e alla musica delle bande militari.
Al livello più basso della gerarchia troviamo "musica sensuale che è eseguita in occasione di attività condannate, o che si ritiene un incentivo per talune pratiche proibite, come il consumo di droga e di alcool, atti di lussuria, la prostituzione, ecc."
Questi generi sono chiaramente proibiti, haram. Tuttavia, la maggior parte delle forme di musica e di canto si collocano in posizione intermedia tra queste precise categorie e la loro appartenenza è controversa (Al-Faruqi 1985: 1-13).
Anche il fatto che l'eccitamento maschile sia più fortemente stimolato dalla vista che dall'udito influenza il giudizio sulle varie categorie di interpreti femminili. Allo scopo di capire i giudizi dei fondamentalisti islamici sull'arte dello spettacolo non possiamo solamente fare riferimento all'opinione degli studiosi musulmani dell'undicesimo o del diciassettesimo secolo, ma dovremmo anche esaminare a fondo il giudizio religioso dei leader più recenti.
Secondo Sheikh al-Azhar Shaltut, che scrisse una fatwa (un decreto o giudizio ufficiale) sull'argomento nel 1960, la musica è ammissibile a certe condizioni. Egli argomenta che Dio non è contro il piacere e che l'Islam ricerca la moderazione. Però esso non dovrebbe avere luogo in circostanze immorali o con compagni dissoluti (Al-Faruqi 1985: 25-26). Lo studioso musulmano al-Quaradawi afferma che il canto e la musica in se stessi sono leciti e piacevoli, tuttavia impone a riguardo numerose restrizioni.
La maggior parte delle forme e dei contesti dell'arte dello spettacolo nell'Egitto contemporaneo è perciò o controversa o proibita, particolarmente se vi sono donne che si esibiscono. Sebbene quindi i fondamentalisti Islamici siano i soli a cercare attivamente di impedire l'arte dello spettacolo, la loro posizione sull'illegittimità dell'arte dello spettacolo, specialmente se al femminile, è condivisa anche dagli studiosi musulmani conservatori e ortodossi.
Ho riportato tutte queste considerazioni da un estratto, liberamente elaborato, di A Trade like Any Other: Female Singers and Dancers in Egypt" di Karin Van Nieuwkerk, Austin: Texas University Press, 1995. (Traduzione italiana tratta da Music & Anthropology). Da notare il fatto che nel testo si fa spesso riferimento al termine ‘prostituzione’, perche’ e’ a tale contesto che la danza femminile e profana veniva implicitamente associata.
Ma nella realta’, quale rapporto hanno le varie culture arabe con la ‘danza orientale’ ?
Ho riportato tutte queste considerazioni da un estratto, liberamente elaborato, di A Trade like Any Other: Female Singers and Dancers in Egypt" di Karin Van Nieuwkerk, Austin: Texas University Press, 1995. (Traduzione italiana tratta da Music & Anthropology). Da notare il fatto che nel testo si fa spesso riferimento al termine ‘prostituzione’, perche’ e’ a tale contesto che la danza femminile e profana veniva implicitamente associata.
Ma nella realta’, quale rapporto hanno le varie culture arabe con la ‘danza orientale’ ?