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Sua eccellenza, (His Excellency) - cosi’ ama farsi chiamare -, e’ una figura imponente e carismatica. Oltre ad essere primo consigliere speciale per gli affari esteri di sua maesta’ il sultano, egli e’ anche a capo di una potente holding di banche e di aziende. Come molti omaniti impegnati in affari di stato, conosce piu’ lingue, arabo, inglese, hindi, gujarati, tigrino. Al palazzo, sono pochi coloro che vengono convocati, e il terrore li ammutolisce togliendo la voce, il sonno e il respiro. Chi lavora per lui, tranne pochi, non l’ha forse mai visto nemmeno in ritratto. Alle pareti, in virtu’ del ruolo, le foto che lo ritraggono con i potenti della terra.
Poche parole, asciutte ed essenziali, scandite con flemma come gocce di fiele. Talvolta al palazzo si tengono le riunioni del consiglio di amministrazione. In tale contesto emerge con forza la natura feroce, crudele e impietosa di popoli e feudi che appartengono a terre al di la’dell’Oceano Indiano. “Faccio lavorare per me gli indiani perche’li posso trattare come servi. Con gli arabi non e’possibile, si ribellano, sono troppo orgogliosi”. ‘’Non fatemi arrabbiare, c’é gente in questa stanza che e’venuta dall’India remando, con i piedi scalzi, e gli ho dato io da mangiare, da bere, da lavorare, e sanno molto bene cosa faccio quando mi arrabbio’. Come nei regni di tutti i sultani e maharaja dell’India, il supremo sultano tiene accanto l’eccentrico visir controllandone tutte le mosse. Certi intrighi orientali coinvolgono piu’di quanto posso raccontare.
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