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Dal 1998 tra gennaio e febbraio ha luogo ogni anno il
Muscat Festival, una rassegna di manifestazioni culturali, commerciali e di promozione turistica e artigianale.
Data l’estensione della capitale, una moderna metropoli senza piazze lunga sessanta chilometri, gli organizzatori hanno scelto tre siti principali dove concentrare le attrazioni e accogliere i visitatori: la spiaggia di Seeb e gli immensi giardini pubblici di
Naseem Park a nord e del
piu’centrale
Qurum Park. Parchi veri, nel deserto, con prati fioriti e grandi alberi, dove centinaia di giardinieri curano,- qui e in tutta la
citta’- spettacolari aiuole fiorite e dai colori sgargianti, grazie ad un efficace impianto di riciclo delle acqua provenienti dagli scarichi della rete idrica urbana.
Bouganvillee,
portulacche,
dalie, petunie, e mille altri petali profumati secondo il desiderio del sultano, per tutti i suoi sudditi e per gli stranieri ospiti dell’Oman.
Il calendario prevede spettacoli
folkloristici e circensi da tutto il mondo, teatro, animazione per i bimbi, concerti, tornei sportivi, parate equestri e corse di cammelli. Vado a curiosare nelle tiepide serate, in compagnia di amiche danzatrici. Cediamo subito alla gola di una porzione di
halwa, una dolcissima gelatina
caramellata e speziata che si mangia calda, preparata al momento su fuoco vivo di legno di palma.
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Al padiglione per sole donne troviamo centri estetici, palestre, sartorie, arredi per la casa, fioristi. Conta il fatto che si tratta di piccole aziende create e gestite da giovani e dinamiche
omanite, tra le quali salutiamo Nadia, spiritosa organizzatrice di eventi e sfilate di moda. Tra gli stand dei vari Paesi si possono fare acquisti in tema: da Aleppo il sapone all’olio di oliva e alloro per i massaggi negli
hammam, e poi olio di
argan dal Marocco per la pelle e i capelli,
curcuma in polvere da mescolare con il miele di montagna al cumino, proposto da rudi yemeniti con pugnali d’argento, olio di serpente per i capelli, olio di squalo dall’Iran, mirra,
oud e
boukhur locali. Lasciamo all’India il
kohl per gli occhi a base di
ghee, dall’odore (e gusto) per noi sgradevole e preferiamo seguire una banda di tamburi e cornamusa. Arriviamo nei pressi di un palco sul prato. Le sedie per gli spettatori sono divise in settori separati, da una parte gli uomini, e dall’altra le donne e le famiglie. Nei luoghi pubblici e di ritrovo si rispettano in questo modo codici culturali molto radicati. Una donna
puo’sedersi dove vuole mentre l’uomo verra’ allontanato se non rispetta la privacy della
comunita’ femminile.
C’e’un gruppo di ballo che arriva dalla
citta’di
Salalah, dove la popolazione ha radici a Zanzibar e le danze beduine attorno al fuoco si intrecciano con lo spirito dell’Africa. Ammiriamo i costumi e la leggerezza di passi e movimenti. La danza non ha una vera coreografia ma si affida all’esperta improvvisazione di un corale e scherzoso corteggiamento. Tutte le appassionate di
tribal bellydance, che vanno alla ricerca della danza perduta, sappiano che quella fonte e’qui e ora!
Ho cercato in rete, ma niente del genere e' disponibile e mi riprometto di tornare sul tema. (Al momento c'e' qualche difficolta' a caricare la video ripresa a causa della connessione lenta). 
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